lunedì 26 marzo 2012

SALTAMI ADDOSSO V.

Credeva di risolvere i suoi tormenti bevendo improbabili miscele di alcolici e rifugiandosi in posti dove l’amore è facile e veloce.
Comprava tristezza spacciata per felicità.

Scappava, e, una volta rientrato a casa i suoi tormenti erano lì, aspettando di togliersi di dosso quel sudicio post it con su scritto “questioni irrisolte”.
Erano accumulati tutti sul suo letto mixati ad ansie, paure e angosce. 
Si aspettava che un giorno il destino avrebbe risolto tutte le sue mancanze e intanto, pur crogiolandosi, continuava a nascondere sotto il piumone i suoi perché.
Bravo ragazzo di giorno e la notte debosciato contenitore di vizi.
L’amore era un sentimento troppo sofisticato per il suo cuore eppure lo rivendicava ogni volta che si trovava solo.
Spesso e di nascosto, pensava al suo futuro e si piangeva addosso come un salice riversa su se stesso i suoi rami.
Era intriso di noia e disperata solitudine.
Una bellezza oggettiva, uno di quelli che con un solo sguardo ti annienta.
Sapeva fingere e fingeva bene. Ma quanto sarebbe durato il suo gioco?
Predicava maturità dal basso dei suoi anni e dall’alto delle sue azzardate esperienze.
Pretendeva che la fede risolvesse tutto.
Viveva di convenzioni senza capirne a fondo le radici.
Poi però arriva quel giorno in cui anche un leone crolla al suolo e deve fare i conti con le proprie insicurezze; quel giorno in cui smetti di essere una tigre e diventi un agnellino: il giorno della verità.
Eppure stai soffrendo, eppure non ti spieghi perché non è caduta nella trappola.
Accese una sigaretta e cominciò a pensare… 
Quella sera Milano splendeva di mille luci eppure dentro era buio, non vedeva spiragli.
Dopo qualche tiro veloce e intenso lanciò il mozzicone dal balcone, un nono piano circondato da un panorama mozzafiato.
Quante ragazze aveva visto quel terrazzino. 
Tutte e solo per una notte: meteore nelle sere d’estate, punti luce nelle fredde notti d’inverno.
L’aria era fredda all’alba.
In quell’istante era solo: aveva voglia di lei.
Lei che non era disposta a scendere a compromessi.
Lei che lo avrebbe aiutato a diventare una persona migliore, un ragazzo come tutti gli altri.
Era lì, di fronte a lui ma non riusciva a conquistarla: lo fissava senza parlare.
Lei, lo avrebbe spinto a scalare quella vetta così ambita ma di difficile raggiungimento: il controllo di sé.
Lei lo sfiora, poi lo bacia.
Si ritrovarono soli, alle prime luci del mattino… Passione, sottomissione, ardente fervore: gli saltò addosso e fu subito amore.
Lei… la forza di volontà.




mercoledì 21 marzo 2012

MILANO: MANI FREDDE CUORE CALDO

Quante storie accadono parallelamente in una grande città.
La sua vita scorreva come quella di altre 3 milioni di cittadini. Una goccia in un oceano, pedina nella mani del turbinio di luci che abbagliano la Madonnina.
Si trascina per le strade di Milano lasciandosi cullare dal ritmo del suo I pod. 
Le Colonne di San Lorenzo in primavera, pullulano di coppiette che non hanno vergogna di esternare i propri sentimenti.Un controsenso in quella giungla di colletti bianchi e regole.
E poi ci sono loro:ragazzi vestiti a lutto che nascondono il proprio disagio dietro il ciuffo nero corvino.
Cammina leggera lungo corso di Porta Ticinese, ricordando i tempi in cui quella strada era fulcro della sua storia d'amore.
Si sofferma davanti quel giappo dove non ha più rimesso piede.
Vorrebbe rivederlo, amarlo ancora per un po’ e passeggiare con lui tra le luci di quella serata di inizio di primavera.
Ma lui non c’era più. L’aveva lasciato vivere la sua vita, proseguire la sua carriera senza il suo amore immenso che lei nascondeva tra i sorrisi e i vestiti nuovi.
Intanto fluiva una miriade di gente che vive la quotidianità con la leggerezza di una formica e la sensibilità di un elefante.
Il rimorso l’assale: colpisce lo stomaco e urta le pareti dei polmoni.Non respira. E cala il silenzio tra i clacson dei taxi e il rumore del tram.
Desidera annunciare il suo passaggio e ritornare ad essere il centro di qualcosa visto che non era più il centro di qualcuno.
Il tappeto rosso corre sui suoi passi. Quattro piani a piedi per tenersi in forma e dritta in camera.
Ancora ricordi.
Una foto accanto al suo letto li ritrae insieme felici e spensierati: i colori sgargianti dei vestiti estivi, gli sguardi languidi della loro passione, la sproporzione delle altezze. Perfetti, belli e raggianti: avevano tutto.
Posa la borsa sulla scrivania e durante l’impatto cadono per terra tre libri: la fine è vicina e lui non ci sarà.
Appoggia le mani su quelle pagine sottolineate e  piogge di lacrime cadono sui polpastrelli.
Ripensa ai giorni in cui insieme immaginavano quei momenti: distesi sul letto fissavano il soffitto disegnando i futuri con le dita.
Guarda il calendario: tra due giorni è il suo grande giorno, eppure lei non ci sarà a darle il bacio dell’in bocca al lupo e non potrà sistemare la sua cravatta prima della proclamazione.
Intanto voci stridenti di anziane sciure interrompono il suo nostalgico silenzio.
Si immerge sotto il bollente flusso dell’acqua e decide di non regolare la temperatura: tanto il corpo si abitua ai dolori.
Si guarda allo specchio e vede i contorni sbiaditi: tutta colpa della miopia.
Si tocca il viso accarezzandolo sempre più forte come in un climax di parole sempre più pesanti. E piange forte.
Molto spesso le lacrime attenuano i pensieri e la disperazione cancella per un istante le tue sofferenze. In fondo meno per meno fa più…
Suona il campanello ma aveva lasciato la porta aperta.
Lui ascolta quei singhiozzi e non riesce più ad assecondarli.
La trova al buio con i capelli bagnati ancora caldi sugli occhi e quella tuta che non le si addiceva.
Lui le sorride facendo un’espressione buffa e lei nasconde il suo viso tra le mani.
Quell’abbraccio durò una notte intera.
Lo allontanò per guardarlo negli occhi e pianse ancora. Questa volta però non  tremava.
Il giorno dopo la Stazione Centrale era tornata ad essere bella ai suoi occhi. Si staccarono soltanto quando il treno stava per partire.
Non si parlarono. Tanto ormai erano di nuovo insieme.
Il giorno seguente lei avrebbe tenuto stretta la sua mano durante la trepidante attesa. Sarebbe tornata ad essere il suo pilastro, il suo tesoro.
Milano intanto fuori era fredda, ma aveva riscaldato il suo cuore. Ancora una volta.
Milano intanto continuava a correre mentre loro tornavano a raccontare la loro storia in standby.


venerdì 16 marzo 2012

CARO AMICO TI SCRIVO

A.Mattitelli, olio su tela


Ti capisco quando rompi con la coscienza, quando attorno a te è come se fosse passato Attila rendendo arido anche il cuore.Siediti qui ora, e non aver paura di parlare con quella vocina che insiste a uscir fuori, che vuole gridare quel che hai dentro e che  non hai il coraggio di esternare.
Inizio a dirti cosa stimi in questo folle periodo di transizione.
Il disagio.
Il disagio della perdita dell’equilibrio, di quella corda che si spezza e che ti fa cadere dal trampolino dove con estrema lucidità eri giunto. 
C’è una sorta di amore in tutto questo: bisogno di dare corpo alle tue idee e mantenerle vive. 
Sentirsi sdoppiati, due persone facenti parte dello stesso corpo, l’angelo e il demone, il bene e il male, giusto e sbagliato, istinto e ragione.
Istinto e ragione: due facoltà così diverse che però ti pervadono nella stessa identica immediatezza.
L’istinto che ti travolge, la ragione che ti fa perdere le occasioni.
E così, rimani dilaniato tra i due opposti che però portano molto spesso allo stesso destino: felicità o infelicità.
Difficile trovare il giusto mix, impensabile trovare un equilibrio tra i due opposti. 
Eppure esiste, eppure l’hanno già sperimentato.
La cura è dentro di te, la miscela devi trovarla da solo: non devi aver paura di osare.
Eppure il dilemma fa paura, trovarti davanti ad una scelta ti rende folle.
Come quando da bambino dovevi scegliere tra il gelato e le caramelle, tra una barbie e una bambola: avresti voluto sceglier tutto ma  non era possibile avere tutto e subito.
Così, ti ritrovi in quella stanza a decidere del tuo domani, come ieri ,decidevi del tuo presente.
Un domani che fa paura, scelte di vita che annientano l’equilibrio che con devozione hai costruito e che il vento ha rovinato. Come un castello di sabbia portato via dall’onda agile, come un castello di carte scompigliato dal fratello giocherellone.
Siediti qui, accanto a me perché io sento quella voce frenetica,  odo il suono tempestoso delle tue parole. 
Ti aspetto, sono l’amore per te stesso.


giovedì 15 marzo 2012

ASSENZA

L'assenza dondola nell'aria
come un batacchio di ferro
martella il mio viso martella
ne sono stordito

corro via l'assenza m'insegue
non posso sfuggirle
le gambe si piegano cado

l'assenza non è tempo né strada
l'assenza è un ponte fra noi
più sottile di un capello più affilato di una spada

l'assenza è un ponte fra noi
anche quando
di fronte l'uno all'altra i nostri ginocchi si toccano.
Nazim Hikmet
 

Ogni cosa, ogni idea, ogni persona assente fa parte di un mondo che non c’è più : il mondo della nostalgia, quello strano posto dove riponiamo tutto ciò che è andato, che andrà che non è più con noi, accanto a noi.
L’effettiva potenzialità e essenza di quel qualcosa che non c’è più viene percepita proprio quando ormai fa parte dei nostri ricordi.
Il rimorso è una delle conseguenze più ambite in ambito di assenza, in quanto ci rendiamo conto di voler bene o amare quel qualcuno, di essere legati a  quel qualcosa, solo quando l’abbiamo perso.
L’assenza potrebbe essere intesa quindi come un non luogo, una non presenza anche se molto spesso mi piace percepire l’assenza come presenza spessa: presenza perché la nostalgia mi riporta all’assente, densa perché è come se fosse viva in me la sua presenza/assenza che molto spesso fa male.
L’assenza è un potere: quel qualcosa, quel qualcuno non c’è eppure si fa sentire e grida, urla e ti lega.